La storia di Uncharted 3: viaggio ai Tropici

La storia inizia con Nathan “Nate” Drake e Victor “Sully” Sullivan che, in un pub di Londra, sono alle prese con la vendita di un anello posseduto da Sir Francis Drake (la vera nemesi o per meglio dire l’ossessione di Nate) a Talbot, uomo misterioso e sicuramente poco raccomandabile. Tanto poco raccomandabile da consegnare a Nate e Sully delle banconote contraffate. Tutto questo serve ad introdurre una delle prime scazzottate del gioco ed il nuovo sistema che gestisce il combattimento corpo a corpo. Dopo aver eliminato i vari nemici ed aver ascoltato le battute sarcastiche di Nathan (una delle peculiarità della sceneggiatura scritta dai Naughty Dog), i nostri eroi  vengono assaliti  all’uscita del pub da altri nemici con in campo una loro vecchia conoscenza, Katherine Marlowe. Costei ruba l’anello e lascia i nostri beniamici esanimi a terra. Morti, probabillmente. O forse no. Le due vecchie volpi avevano già architettato un piano, tanto che la mano di chi sembra “uccidere” i due appartiene in realtà ad un loro complice e sodale, l’inglese Charlie Cutter, nuova figura nell’epica storia di Uncharted.

Dopo quest’incipit si passa ad un lungo flashback giocabile, che vede un Nathan Drake allora quattordicenne dentro un museo di Cartagena in Colombia, alla ricerca dell’anello di Francis Drake: proprio quello che Nate porta sempre al collo. Al termine di una serie d’inseguimenti veniamo a conoscneza di come il rapporto di amicizia tra il nostro protagonista e Victor Sullivan abbia mosso i suoi primi passi. Questo flashback è realizzato con un’ottima regia che raggiunge il suo picco nella fase in cui, dopo essere scappati da morte quasi certa, Nate e Sully si ritrovano ad un bar a parlare della passione di entrambi per l’avventura, di Francis Drake e di come Sully sarà più di un mentore per Nathan, tanto da diventare il suo padre putativo. Finito il tuffo nel passato e nei ricordi si ritorna ai giorni nostri, con i tre protagonisti e Chloe Frazer che si mettono alla ricerca di una mappa segreta tracciata da Francis Drake durante un viaggio in Arabia, commissionato da niente di meno che la regina Elisabetta I al fine di trovare la favolosa città perduta di Ubar. Si viene così a scoprire che la stessa Marlowe è a capo di una setta antica, che nel corso dei secoli ha sfruttato le paure dei nemici per ottenere il potere sul mondo.

A questo punto le strade dei nostri eroi si dividono: Nate e Sully in Francia,  Chloe e Cutter in Siria, entrambe le coppie alla ricerca di due oggetti che permettano di stabilire dove si trova la mappa misteriosa, destinata a condurli, dopo varie vicissitudini, in Yemen, dove Nate avrà modo di ritrovare Elena Fisher, protagonista dei primi due episodi della serie ed ex moglie di Drake. Non vogliamo ovviamente dirvi troppo della trama del gioco né spoilerare, ma gli eventi che seguiranno saranno talmente emozionanti, ottimamente scritti, divertenti e con un’ottima regia da lasciarvi più volte con il fiato sospeso, con quella voglia di scoprire cosa accadrà dopo tipica dei migliori film d’azione (stile Indiana Jones) che fanno della saga di Uncharted una superba incarnazione in pixel del dialogo fra cinema e videogiochi. Trovarsi immersi nelle vesti dell’attore principale di quanto viene mostrato sullo schermo porta il giocatore ad appassionarsi ai protagonisti, in particolare al sarcastico Nate, a sperare di non vedere mai la fine del gioco, e soprattutto a pregare che questo non sia l’ultimo capitolo della saga, poiché le avventure di Nathan e compagni potrebbero non avere mai fine anche se il team di sviluppo ha ammesso che si prenderà una pausa, occupata dallo sviluppo di altre IP (il da poco annunciato The Last of Us).

Giocare ad Uncharted 3 è come salire sull’ottovolante. Sai già che dietro ogni curva si cela la discesa mozzafiato però ogni volta ti lasci ingannare come se fosse la prima: il fatto è che vuoi lasciarti ingannare, scegli deliberatamente di abbandonarti nelle mani di una superiore regia che – lo sai già – non potrà in ogni caso deluderti. Non l’ha mai fatto, da qualche anno a questa parte. Esistono due modi per non godersi il giro in giostra. Il primo: recriminare sul fatto che sia talmente breve che alla fine di quella cavalcata esaltante ti sembrerà di essere stato in mezzo alle nuvole solo per una manciata di secondi. Il secondo: spezzare il circolo magico della fascinazione e riflettere sul fatto che, nonostante tutto, si tratta pur sempre di un giro in giostra. È difficile non lasciarsi stregare dagli effetti speciali di Uncharted 3, ma non impossibile. Questo non pregiudica un’esperienza di gioco immersiva ai massimi livelli, anche perché quello di una certa sospensione dell’incredulità è un esercizio al quale ogni videogiocatore incallito è in fondo abituato, al pari di ogni lettore di narrativa o di ogni amante del cinema: non esiste godimento estetico se non allentando il durio giogo del verismo. E se Uncharted è un po’ come un mare che ribolle di fantasia, spettacolo ed antichi misteri, allora “il naufragar m’è dolce in questo mare”.