La Storia delle console portatili

Dagli albori alle recenti “delizie” tecnologiche del videogioco portatile. Come è nato e cosa ci prospetta il futuro su tuttogioki.

Gli albori
L’esistenza delle attuali console portatili affonda le proprie radici nella necessità di estendere un mercato, soprattutto quello del software, a un bacino d’utenza più vasto o comunque con esigenze diverse. Dando uno sguardo al passato, all’inizio non si poteva di certo parlare di dispositivi “intelligenti”. Infatti, le prime console portatili, meglio dette tabletop, non erano programmabili e alcune di essere non disponeva nemmeno di un unità di elaborazione. Erano le cartucce a fornire il circuito che permettesse l’esecuzione di un particolare gioco. Da questo punto di vista la prima console portatile è ritenuta essere il Microvision. La pochissima scelta di giochi (solo 13) e i costi esorbitanti per l’epoca (erano adottati i primi schermi LCD) ne decretarono il fallimento solo 2 anni più tardi. Tuttavia l’interesse si era ormai smosso ma il problema dei costi rimaneva. Per tale motivo, per tutti gli anni 80, prese piede la moda dei giochi elettronici. Questo termine non deve trarre in inganno, in quanto non ricalca affatto il significato datogli oggi, né tantomeno quello che aveva tracciato il precursore di tutte le console portatili. Infatti il Microvision era pur sempre dotato di un processore che lo identificava come una macchina, mentre il software era integrato a un altro componente indispensabile per usufruire del videogioco, cioè lo schermo. I giochi elettronici invece, non sono altro che componenti elettroniche tali da rispondere a comandi temporizzati (quelle del giocatore) e accendere su schermo l’elemento della matrice corrispondente. Questo genere di gioco portatile è conosciuto come Game & Watch, inizialmente prodotti dalla Nintendo.

L’approccio al mercato e la resa del prodotto fu un gran successo commerciale che portò grossi introiti alla Nintendo. Essenzialmente non si programmava nessun gioco, inteso come software, e il dispositivo non aveva altra funzione se non quella assimilabile a una qualsiasi calcolatrice portatile. A un pulsante premuto in un certo momento corrispondeva l’accensione di una particolare elemento sullo schermo. Oltretutto gli schermi erano a matrice fissa e questo era molto più economico di un LCD a matrice attiva o passiva. Inoltre, ogni dispositivo poteva disporre di un solo gioco. Questo elemento permise a Nintendo di vendere console a un prezzo intermedio tra un gioco e una console. In questo ambito bisogna ricordare la mente di questo sistema, Gunpei Yokoi, al quale va anche il merito dell’invenzione della croce direzionale (d-pad), oltre che alla light gun. Ha anche sviluppato alcune delle più importati saghe made in Nintendo, come Metroid e Super Mario Land. E le console casalinghe?

Superato il periodo pioneristico degli anni 70, il mercato delle console ai tempi di Microvision e dei Game & Watch doveva fare i conti con un affollamento di mercato. La domanda infatti non era così imponente, ma si affacciarono al mercato molti contendenti saturando l’offerta. Solo il software fece da cartina tornasole per le casse delle aziende, come fu per Atari che grazie all’Atari 2600, aveva di gran lunga l’utenza più nutrita. Un tale successo da permettere a un gruppo di programmatori interni di formare la prima software house indipendente (dall’hardware) della storia, l’Activision. Le altre console, sebbene avessero prestazioni migliori, come il ColecoVision, non guadagnavano margini importanti di mercato. Principalmente fu il prezzo ad essere il discriminante, ma anche successivamente all’adeguamento dovuto alla maggiore concorrenza, il mercato andò comunque in crisi.

10  anni dopo…
Con le case produttrici sull’orlo del fallimento e un utenza allo sbando, il mercato delle console portatili fu praticamente ibernato per quasi 10 anni. Si arrivò ad una riluttanza dei giocatori nei confronti dei Game & Watch, anche se questi comunque giocavano con i sistemi arcade e casalinghi dell’epoca, NES su tutti. Fu nuovamente grazie all’intuizione di Nintendo che il mercato portatile risorse con prepotenza. Grazie all’introduzione del GameBoy, Nintendo seppe centrare il giusto compromesso tra costi, resa e portabilità. Questa volta la console non era un gioco elettronico, ma una piattaforma dotata di microprocessore da ben 4 MHz, superiore anche alla controparte casalinga, il Super Nintendo (successore del NES). Tuttavia non si volle incorrere in un problema di primaria importanza per una console portatile, cioè l’autonomia in rapporto al peso. Avere un processore prestante significa anche avere consumi maggiori e conseguente peso maggiore (maggior numero di pile). Il tutto fu risolto adottando uno schermo a cristalli liquidi in grado di generare 4 tonalità di grigio su sfondo verde. Ciò sgravava il carico del processore per ciò che disegnava su schermo, potendo risparmiare sul consumo energetico. Inoltre il processore gestiva anche l’audio senza incidere troppo sull’autonomia. Inoltre le cartucce contenevano sia la rom del gioco e spesso anche una batteria per il mantenimento dei salvataggi.

Nello stesso periodo ci fu il lancio di Atari Lynx, che a livello tecnico era nettamente superiore. Proprio le conseguenze di questo particolare, paradossalmente, ne decretarono l’insuccesso di vendite. Il Lynx era dotato di un processore di pari potenza al GameBoy, ma veniva più efficientemente impiegato nel comparto video, tale da gestire uno schermo a colori (retroilluminato) con palette a 12 bit. Fu anche il primo in grado di gestire una seppur basilare grafica 3D e a introdurre il multiplayer (tramite ComLynx) fino a 16 giocatori. Lo scotto da pagare per tutta questa meraviglia tecnologica però erano: il costo, quasi 100$ in più di GameBoy, le dimensioni generose, l’autonomia ridotta e il peso dovuto al maggior numero di pile necessario ad alimentarlo. Unendo anche la scarsa concorrenza fatta a Nintendo a livello di marketing, si ebbe la dismissione di Lynx poco dopo l’ingesso nel mercato portabile di Sega con il Game Gear. Quest’ultima console infatti fu immessa nel mercato da parte di Sega più che altro per contrastare Nintendo anche sul versante console portatili. Sega era ormai in ritardo di diversi anni per poter sperare di superare la base installata di GameBoy, ma nonostante ciò si intrapresero comunque le stesse scelte fatte in casa Atari con Lynx. Le aspettative erano alte, e anche se le vendite non andavano poi così male, è da considerarsi un tentativo fallito a livello commerciale. Anche in questo caso, l’autonomia, il peso e il costo hanno inciso molto sulle vendite, nonostante l’indiscussa superiorità tecnica rispetto alla controparte Nintendo.

10 anni dopo…again

Dopo l’enorme successo di vendite di GameBoy, arrivato alle 100 milioni di console vendute, il mercato era ormai arrivato alle porte degli anni 2000. La logica del piccolo-portatile-economico era durata fin troppo, e il videogiocatore era diventato più esigente. Infatti nel mercato casalingo era scoppiato il fenomeno Playstation, e il 3D sembrava essere una nuova realtà. Ma non alla portata delle console portatili purtroppo, che erano ancora relegate a quella logica. Nintendo ha trascinato un mercato ormai stagnante grazie a versioni aggiornate di console derivate dal GameBoy, ma che di fatto erano ancorate al 2D. Nemmeno l’introduzione del colore (con GameBoy Color) nella sua storica console seppe attrarre utenza. Qualche timida innovazione fu fatta dalla concorrenza con il game.com, grazie alla prima interfaccia touch screen e alla possibilità di connettersi a internet per giocare online. Da segnalare anche il ritorno dello stesso inventore del GameBoy, Gunpei Yokoi, passato nel frattempo alla concorrenza (Bandai) con l’ideazione del WonderSwan. Questa console ebbe un buon successo ma limitatamente al mercato nipponico, per il quale era stata progettata, soprattutto per le conversioni di alcuni famosi J-RPG. Anche in casa NeoGeo si volle lanciare una console portatile, il NeoGeo Pocket. Inizialmente con schermo monocromatico, venne rimpiazzato da NeoGeo Pocket Color, ma a parte pochi titoli degni di nota e la retrocompatibilità, cessò la produzione in concomitanza delle beghe economiche di SNK.

L’ultimo decennio
Dagli anni 2000 ad oggi è storia recente. Nintendo ancora una volta prova una nuova versione di GameBoy, l’Advance, ma sarà il Nintendo DS ad essere determinante nelle vendite e nell’interesse dei videogiocatori. Dotato di 2 schermi e del touch screen, porta oltre al 3D anche una ventata di innovazione soprattutto dal lato interattività. Tuttavia è Sony con la sua PSP ad essere il vero outsider, centrando ciò che in passato è risultato più volte essere stato causa di fallimento. La PSP è un connubio di ottime prestazioni, multimedialità e autonomia. Sebbene abbia alla fine venduto la metà di quanti DS è riuscito a piazzare Nintendo, la Sony è stata la prima nella storia a spezzare il monopolio delle console portatili. Sebbene poi con l’avvento di Nintendo 3DS è stata introdotta una nuova caratteristica al suo predecessore, cioè lo schermo 3D, questa soluzione sembra essere stata di contenimento a quel periodico ciclo di stagnazione del settore. Lo schermo in questione permette una visione stereoscopica senza l’ausilio di occhiali appositi grazie a effetti di parallasse determinati da due sottili strati di LCD uno sotto l’altro in grado di nascondere all’occhio sinistro ciò che rendono visibile all’occhio destro e viceversa. Tuttavia l’esperienza di gioco è strettamente legata all’uso che ne fanno gli sviluppatori.

Da questo punto di vista la neonata PS Vita di Sony sembra evolvere l’esperienza di gioco introducendo, ancora una volta, un hardware superiore alla concorrenza e funzionalità esclusive di gioco (con il touch sul retro o il giroscopio) e estenderne quelle multimediali, con il 3G, il GPS e le fotocamere. Niente di rivoluzionario ma forse Sony ha capito in quale direzione sta andando il mercato. Non resta che attendere l’evolvere di questa ultima generazione in funzione del software che verrà prodotto e di come il giocatore ne potrà usufruire.